Condividiamo e riportiamo l’intervista a Diego Bardone di So-fine art per il progetto La Strada d’Italia che propone un viaggio lungo la nostra penisola per conoscere e intervistare alcuni dei più interessanti esponenti della Street Photography “Made in Italy!
La Strada d’Italia: Diego Bardone
“Pronti, via, iniziamo subito con un gigante della Street Photography Made in Italy: Diego Bardone, fotografo Milanese che sta raccontando con ironia (e con un occhio incredibile) la contemporaneità della sua città.
Abbiamo trascorso insieme una mattinata indimenticabile, chiacchierando di fotografia e di vita, di amicizia e di crescita personale, in compagnia di un Fotografo che sulla Strada mette cuore, passione e un grandissimo rispetto per le persone che incontra.
Ciao Diego, ci racconti brevemente il tuo percorso fotografico?
Vuoi sapere com’è iniziata? Avevo più o meno vent’anni, sono andato in vacanza in Grecia e mi sono portato una compatta a pellicola.
Al ritorno ho sviluppato il rullino, e quando ho visto le foto, tutto tronfio ho pensato di essere il figlio di Cartier-Bresson (ride ndr)
Dopodichè ho comprato un manuale di fotografia: ho preso tutte le foto che avevo fatto tranne una e le ho buttate via.
Ai tempi fotografavo paesaggi, fiori, qualsiasi cosa mi incuriosisse, ma un giorno mi sono imbattuto un po’ per caso in una mostra a tre mani: “In India” di CB, e due retrospettive dedicate a Doisneau e Boubat, ed è stata una folgorazione.
Ho comprato una Canon E1, e poi una A1 e ho incominciato a fotografare per strada, a fotografare le persone.
Poco dopo ho avuto un aggancio per mostrare le mie foto a “Il Manifesto”: sono piaciute e ho iniziato a collaborare con loro e con l’agenzia Tam Tam di Roby Schirer.
La sua serie “Foto Ridens” mi ha fatto innamorare della Fotografia di Strada.
Poi, come spesso accade, la vita ti mette di fronte ad un bivio, ed ho smesso di fotografare per vent’anni.
Un tempo lunghissimo, finché un giorno ho deciso di ricomprare una macchina fotografica, e da allora non ho più smesso.
Ho scelto di scattare esclusivamente per strada, ed esclusivamente se ci sono umani: i miei adorati Umani.
Perché hai deciso di dedicarti alla fotografia di Strada?
Fondamentalmente perché mi piace stare in mezzo alla gente, adoro le persone.
Quando scendi in strada con la macchina fotografica devi avere ben chiaro in mente perché lo fai: io fotografo per ricordare. Credo che i ricordi delle persone che hanno fatto parte della tua vita col tempo si indeboliscano, se non ci sono le foto a ricordarle.
Se incontro una persona per strada e condivido con lei un attimo che per me diventa importante, io la voglio ricordare. E questo succede quando riguardo le mie foto stampate.
Voglio creare il mio pezzettino di memoria da tramandare a chi verrà dopo di me, e non importa se questo sarà importante solo per la mia nipotina, o per un pubblico più vasto.
Senza memoria non siamo niente, e io voglio dare il mio piccolo contributo alla creazione di una memoria collettiva.
Milano è il tuo “terreno di caccia”: sono sicuro che i tuoi scatti in futuro saranno visti come la testimonianza di un’epoca di questa città. Ci parli del tuo legame con essa, e del perché hai scelto di scattare quasi sempre lì?
Ho iniziato a scattare a Milano per necessità, perché facevo un lavoro che non mi permetteva di andare via, e non ho mai smesso.
In realtà ultimamente inizia ad andarmi un po’ stretta: una componente fondamentale dei miei scatti è lo sfondo, che per me è importante tanto quanto il soggetto. Inizio a trovare gli sfondi milanesi un po’ ripetitivi.
Comunque, anche se non è particolarmente varia, né la città più bella del mondo, a me piace così… ne sono innamorato.
Quindi per creare i tuoi scatti parti dal soggetto, dallo sfondo, o dalla combinazione dei due? Oppure è una cosa che accade e basta?
Chiunque scatti per strada ama le scene “cotte e mangiate”: quelle che ti trovi davanti già pronte, e in un attimo la foto è fatta. Quando capita, io godo un sacco.
Però spesso parto da uno sfondo che mi colpisce: studio l’inquadratura, e aspetto che vi succeda qualcosa di interessante.
La maggior parte delle volte non succede niente.
Qual è il tuo approccio al soggetto? Interagisci con le persone che fotografi, o preferisci che non siano consapevoli della tua presenza?
Per me scattare per strada è un’occasione per interagire con le persone, non per nascondermi. Fotografare le persone ti permette di entrare in contatto con qualcuno che non avresti nemmeno mai visto senza la macchina fotografica. Quei due minuti di “incontro” ti arricchiscono.
Per questo, se la persona che fotografo non se ne accorge, a volte sono io a fermarla per mostrarle lo scatto!
Esci a scattare già con un’idea o ti lasci guidare dal momento?
Nei vent’anni in cui non ho fotografato, della fotografia non me ne è fregato assolutamente niente. Non ho mai guardato foto, visto mostre, studiato.. Niente!
E’ come se mi avessero ibernato, e poi scongelato esattamente com’ero, ma con il vissuto di un uomo di quarant’anni.
Ho frequentato per tanti anni il “Girone dei Dannati” dell’Ippodromo di San Siro: è dove c’è il gioco, un luogo in cui non ti puoi fidare di nessuno.
Lì ho affinato la capacità di tenere tutto sott’occhio, per evitare di prendere fregature.
Francesco Tadini dice che la mia capacità di prevedere quando si creerà una scena interessante deriva da quella palestra di vita.
Fondamentalmente, quindi, mi lascio guidare da questa capacità.
La tua produzione è legata a Spazio Tadini, casa-museo milanese. Ci racconti questa realtà, e il tuo rapporto/collaborazione con essa?
La Casa museo Spazio Tadini nasce per volontà di Francesco Tadini e di sua moglie, Melina Scalise, per onorare la memoria del padre di Francesco, Emilio Tadini, uno degli artisti milanesi più importanti del dopoguerra: pittore, scrittore, traduttore.. Un vulcano!
E’ un luogo dove si respira arte, ci sono mostre di pittura, scultura, fotografia… E Francesco nel 2017 ha creato PhotoMilano, un gruppo fotografico basato sulla convivialità: trovarsi, parlare di fotografia, confrontarsi, fare spaghettate all’interno della Galleria.
Ad oggi conta più di duemila iscritti, di cui circa 200 attivi.
Ho trovato su Facebook PhotoMilano, e ho pensato che mi riguardasse da vicino. Spazio Tadini lo conoscevo già, quindi ho iniziato a postare le mie foto nel gruppo. Poco dopo Francesco mi ha contattato, e mi ha proposto di fare una mostra, che abbiamo realizzato a settembre 2017.
Per me esporre nella Sala Grande è stata una gioia immensa!
Ne è nata un’amicizia che va oltre il rapporto “professionale”, e coinvolge anche Melina e Federica Paola Capecchi, la loro socia storica: è un’esperienza umanamente appagante, e alla fine è questo ciò che conta.
Ora praticamente vivo lì, ed è una continua lezione di Storia dell’Arte che mi permette di migliorare fotograficamente.
Sei anche uno dei fondatori del “collettivo” The Strippers, nel cui manifesto si legge: “Non chiamateci streeters, chiamateci Strippers”: ci parli della vostra posizione nei confronti dell’attuale panorama della Street Photography?
Ahah! Il nome l’ho pensato io, ed è stato approvato all’unanimità. Siamo una sorta di gioco scherzoso nei confronti dell’autoreferenzialità di una certa fotografia di strada italiana.
Ci sono ottimi fotografi di strada in Italia, ma a volte nelle immagini, si “vede” di più il fotografo del soggetto.
In qualsiasi foto c’è l’autore, ma se il fotografo prende il sopravvento sul contenuto della foto, succede che dal punto di vista empatico e di contenuto manca.
La fotografia di strada, invece, è Umanista da sempre: ha lo scopo di raccontare, con umiltà, la Società, i suoi usi, costumi e cambiamenti nel tempo: il Soggetto è l’Essere Umano.
Il nostro è un piccolo tentativo di ridare centralità e universalità all’Essere Umano.
Mi dà fastidio la brutta fotografia, ma brutta a mio parere. Il mio parere vale sempre uno, e non ho la verità in tasca. Mi danno fastidio quelli che credono di averla.
La Fotografia è cibo per l’anima: quando trovo uno che sa farla meglio di me sono felice come una Pasqua, perché posso imparare qualcosa.
So che hai appena pubblicato il tuo primo libro: di cosa si tratta?
Il libro si intitola “Street Life Milano”, ed è una “summa” degli ultimi dodici anni di lavoro per strada.
Contiene 120 foto divise in sezioni, e tre testi, tra cui una chiacchierata con il grande photoeditor Maurizio Garofalo, che ha curato il progetto.
I miei amici Strippers dicono che sono meglio le parti scritte, rispetto alle immagini (bastardi!) (ride ndr)!!
Per me è un punto di arrivo e di partenza. Punto di arrivo per la mia necessità di lasciare una traccia, che ora esiste concretamente: adesso sono sicuro di aver lasciato quella “briciola di memoria” per la mia nipotina.
Nuova partenza perché spero porti nuove esperienze e nuova voglia di scattare fotografie.
Ringrazierò sempre Francesco Tadini e Melina Scalise per avermi convinto a fare questo passo (oltre che per i due bellissimi testi che hanno scritto, e che abbiamo inserito nel libro).
Inizialmente avevamo pensato ad un’autoproduzione, come fanno quasi tutti oggi. Poi però Gilberto Glavioli e la sua compagna e socia Giovanna Daniele, di Edizioni del Foglio Clandestino, hanno visto il progetto e hanno deciso di crederci e investirci, e ora il libro è realtà.
Dopo tanto tempo che scatti, cosa ti spinge ancora a prendere la macchina e uscire per strada ogni giorno?
La passione. Il piacere di stare in mezzo agli altri. L’idea di costruire quel pezzettino di memoria per quelli che verranno dopo. E’ una sorta di dolce ossessione: quella paura di passare senza aver lasciato un pulviscolo di traccia in questo universo. Si dice che siamo un puntino nell’universo, vorrei che il mio puntino fosse ricordato anche da una sola persona.
Per me avere una macchina fotografica in mano è come respirare, è sempre con me.
Quando non ce l’ho sono in panico!
E quindi, cosa rappresenta la fotografia nella tua vita?
Quando avevo vent’anni, la macchina fotografica era il mezzo per superare la mia scontrosità e le mie insicurezze. Come una “coperta di Linus”, era un filtro, senza il quale non riuscivo ad interagire col mondo.
Da giovane ero un vero stronzo: metallaro, capelli e frangia lunghissimi… Ringhiavo, mediamente.
La fotografia ha cambiato il mio modo di vivere nel mondo: è stata terapeutica.
Le sarò sempre grato, perché è grazie a lei se oggi sono in armonia e in pace con tutto quello che mi circonda, e con gli altri. La fotografia mi ha reso una persona migliore!
Fine del discorso, andèmm a mangià!