Una breve stagione è la raccolta di racconti di Francesco Scaramozzino. Con una prosa cristallina legata alla rilettura dei ricordi l’autore presenta una sequenza stimolante di personaggi, tutti destinati a lasciare un segno nel lettore.
Una breve stagione ci trasporta in una comunità legata ancora al lavoro nei campi e alle grandi corti contadine, con una grande industria e altre a fare da corollario. In queste mondo ingenuo e a volte semplice scopriamo una sequenza di personaggi destinati a lasciare il segno nel lettore.
Figure scolpite come “I fratelli Carminati”, giocatori nella squadretta locale col padre contadino che li porta allo stadio seduti sul trattore. La nonna (“Rimedi”) che diffonde in casa la grande stampa perché usata sotto la maglia per ripararsi dal vento. La protagonista del raffinato racconto surreale “Febbraio”, che sta perdendo la memoria e con la fobia dell’ordine.
Una prosa cristallina, quella di Scaramozzino, legata alla rilettura dei ricordi, ai pezzi di vita che ti portano a superare i gradini sino all’età adulta.
Una breve stagione che ha lasciato il segno, allo scrittore e ai suoi lettori, costretti a rivedere i loro personali ricordi. P. Lezziero
DALLA RACCOLTA DI RACCONTI “UNA BREVE STAGIONE”
MANIE
“Salta una generazione, come certe malattie” – pensai fra me e me quel giorno che uscivo dalla porta girevole dell’albergo e avevo nella valigia, fra le camice e il beauty, una salvietta bianca con la scritta “hotel Ambasciatori” e un omettino di plastica per appendere gli abiti. Provavo la stessa sensazione indefinita di paura e allegria che avevo provato molte altre volte, mi spingeva allora velocemente verso il taxi che avevo chiamato, con un formicolio nelle gambe, un sorriso appena trattenuto sul volto.
Avevo quella mania, rubavo cose insignificanti e di poco valore, si accumulavano in mansarda senza ordine, disegnavano una confusa geografia dei luoghi che avevo visitato. Rubavo negli hotel in cui soggiornavo per lavoro, ma anche nei bar, in pizzeria, mi piaceva soprattutto rubare forchette e tovaglioli nei ristoranti, e sapevo di avere preso dal nonno per questo, lo seppi quel giorno che mio padre mi confidò il suo segreto e mi portò nella casa disabitata dove era cresciuto.
Mi disse che il nonno era così, davvero un brav’uomo, ma aveva quella mania insospettabile, rubava piccole cose e le portava a casa, tornava come un gatto che ha in bocca un uccellino, tornava con la stessa allegria, con la stessa paura con cui io salivo sui taxi. E così quel giorno mio padre mi portò nel solaio del nonno, sollevò un lenzuolo che copriva una vecchia cassapanca e fece un cenno con lo sguardo. Nella cassapanca trovai oggetti di ogni tipo accumulati senza altro ordine che non fosse quello alla rinfusa che deriva dal tempo: un coltellino, un fante di fiori, un bicchierino da liquore, e ancora una pistola ad acqua, il campanello di una bicicletta, un biglietto della lotteria di Merano. Ero meravigliato e confuso, rovistavo e pensavo al nonno, a quel segreto che si rivelava a me per la prima volta mentre mio padre, quasi avesse capito e mi volesse spiegare altre cose in quel modo, allungava la mano e pescava dal fondo della cassapanca. Ne trasse un posacenere di plastica bruciacchiato in alcuni punti, che recava la scritta: “CRODINO”. «C’ero anch’io quel giorno» – mi disse – «il nonno lo ha infilato nella camicia mentre bevevo l’aranciata, e io ho avuto paura per questo, paura e vergogna… Piangevo» – aggiunse come soprappensiero – «Piangevo sulla canna della bicicletta, mi sembrava di essere un ladro mentre il nonno rideva, pedalava veloce e rideva…». Così seppi qualcosa in più sul mio conto e mi sentii all’improvviso meno solo, visto che in quei tempi anch’io avevo iniziato a rubare piccole cose; seppi che assomigliavo al nonno e che, forse, quella mania salta una generazione, perché io ero in grado di cogliere il senso di quei piccoli furti più di quanto fosse stato capace di fare mio padre, che ne aveva colto solo il versante opposto, abitato dal sotterfugio e dalla colpa. E mentre scendevamo la scala di legno, io lo precedevo e provavo la stessa sensazione, avevo fretta di uscire perché recavo sotto il giubbotto il portacenere, lo avevo preso dal baule mentre mio padre non guardava, ero stato veloce per dimostrare al nonno la mia perizia, quel senso ereditario delle cose rubate che sfuggiva invece a mio padre, quel segreto che rende intimi gli uomini e li rinsalda recuperando i talenti che si disperdono lungo il corso delle generazioni.
ISBN: 978-88-902114-4-7
FORMATO: 13X18
PAGINE: 226
AUTORE: Francesco Scaramozzino
EDITORE: Edizioni del Foglio Clandestino
NOTA DI: Francesco Scaramozzino
IN COPERTINA: Erice. Fotografia di M. Barraco